martedì 21 settembre 2010
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mercoledì 15 settembre 2010
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domenica 7 marzo 2010
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martedì 2 febbraio 2010
Rassegna Stampa 19/01/2010 II - I predatori dell'acqua
Lo spettacolo prodotto dalla contemporanea collisione di tanti elementi idrici in un punto specifico è colossale e sembra avvertire l'uomo ad avere un maggiore rispetto verso una risorsa, l'acqua, che può essere allo stesso tempo fonte di vita e di morte. Mai come oggi l'ammonimento che viene dalle 'Cataratas' suona appropriato. Qui è infatti l'epicentro e la manifestazione eclatante dell'esistenza di una delle più grandi e importanti riserve d'acqua dolce nel mondo: l'Acquifero Guaranì, oggi al centro di forti interessi commerciali e strategici, e minacciato da un serio pericolo di contaminazione e di estinzione.
Con una estensione stimata approssimativamente in 1.200.000 chilometri quadrati e un volume pari a circa 55 mila chilometri cubici è il Guaranì il terzo acquifero più grande del mondo, ma è considerato il primo in quanto a capacità di ricarica.
Viaggiando per le terre sovrastanti il Sag, Sistema Acquifero Guaranì, non è difficile avvertire le opportunità offerte da questa inestimabile risorsa, e i pericoli insiti nel suo sfruttamento inappropriato. Non lontano da Iguazù, lungo la strada che costeggia il Paranà verso la provincia di Corrientes, all'altezza della città di Posadas, si assiste a una progressiva trasformazione del paesaggio idrico e non. Il corso naturale del fiume, con le sue sponde articolate e irregolari, inizia a perdere forma. La sponda opposta, il vicino Paraguay, improvvisamente scompare. Il fiume diventa mare, un immenso mare color verde. Eppure l'Oceano Atlantico è a centinaia di chilometri, e il Pacifico è al di là delle Ande.
A Sud di questa regione si trovano invece le paludi degli 'Esteros de Iberà', 20 mila chilometri quadrati di natura quasi incontaminata e in buona parte inaccessibile, che contengono una delle maggiori ricchezze planetarie in termini di biodiversità. Qui ha deciso di ritirarsi l'imprenditore milionario statunitense Douglas Tompkins che, abbandonata una carriera di successo nel campo tessile, si è convertito all'ecologia 'conservazionista'. Dopo aver acquisito centinaia di migliaia di ettari nella Patagonia cilena ed argentina, Tompkins possiede una buona porzione anche di queste terre. Il fatto che un comune denominatore di tutti i suoi possedimenti sia l'abbondanza d'acqua, sotto forma di ghiacciai o paludi, ha destato sospetti sulle reali intenzioni che soggiacciono a una filosofia ecologista che pretende di privatizzare al fine di preservare. Tompkins non si scompone di fronte alle accuse di alcuni politici nazionalisti locali che lo accusano di essere un agente della Cia, o di chi sospetta che si stia portando via l'acqua. "Ormai mi addormento ogni notte pensando che pazzia si inventeranno domani", ha dichiarato. Dice che alla sua morte donerà ai rispettivi Stati i suoi possedimenti cileni ed argentini, anche se non si capisce perché, se non si fida dell'amministrazione pubblica di oggi, dovrebbe fidarsi di quelle future.
Le coltivazioni intensive sono uno dei grandi problemi che perturbano con certezza già da oggi l'equilibrio idrico del Sag e stanno compromettendo la qualità dell'acqua. Brasile, Paraguay e Uruguay, i paesi in cui l'Acquifero si trova a una profondità minore, attingono direttamente da qui le risorse per irrigare milioni di ettari di campi coltivati a soia transgenica. Anche i cinesi, a corto d'acqua, vengono a coltivare soia qui.
Solo oggi si sta cercando di quantificare esattamente l'entità dello sfruttamento cui è sottoposto il bacino sotterraneo Guaranì ed il suo livello di contaminazione. E neanche qui mancano le polemiche. Gli studi scientifici più avanzati che si sono prodotti sul Sag, sono infatti frutto di un lungo progetto di investigazione iniziato nel 2003 e finanziato quasi interamente dalla Banca mondiale, il Progetto Acquifero Guaranì. La cui realizzazione è però affidata a istituti geofisici tedeschi, olandesi e norvegesi, nonché all'Organizzazione Internazionale per l'Energia Atomica. L'economista italiana Cristiana Gallinoni, autrice di uno studio approfondito sullo sfruttamento delle risorse idriche in Argentina, ed in particolare sull'Acquifero Guaranì, non è la sola ad essere scettica sulle finalità ultime del Pag: "Le informazioni principali sono adesso in mano straniere, l'acqua viene considerata da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e dalla Banca mondiale non come un diritto umano da garantire, bensí come una merce, da preservare per finalità economiche". Il coordinatore argentino del progetto, l'ingegnere Jorge Santa Cruz, difende il lavoro svolto e sostiene che "le informazioni raccolte e già pubblicate sono un prezioso strumento in mano alle amministrazioni locali". Ma il punto debole si trova forse proprio qui, nelle amministrazioni locali, province e municipalità dei quattro Stati sudamericani, che gestiscono settorialmente questa risorsa.
Considerando la posta in gioco, si tratta di un potere discrezionale enorme in mano a figure politiche spesso di secondo piano i cui scrupoli di fronte a ingenti offerte private per l'acquisizione di beni altrimenti pubblici sono praticamente nulli. Il fatto che in una terra così ricca di acqua molti soffrano per la sua scarsità, testimonia comunque una gestione inappropriata da parte delle autorità locali. Più di 130 milioni di persone in America Latina non ricevono acqua potabile nelle proprie abitazioni. L'inferno può essere un bicchiere d'acqua sporca, o anche semplicemente vuoto.
(da L'Espresso, 19 gennaio 2010)
Rassegna Stampa 19/01/2010 I - Acqua contesa, Palermo è a secco
PROTESTA. Per denunciare la malagestione del servizio idrico Maniaci e Vitale chiudono i rubinetti. Pino Maniaci non finisce mai di stupire. Oggi il direttore di Telejato, nota emittente televisiva impegnata nella lotta contro Cosa nostra, insieme a Salvo Vitale, personaggio vicino a Peppino Impastato, interromperà l’erogazione dell’acqua a Palermo e dintorni e si incatenerà alle pompe di sollevamento, per denunciare la malagestione del sistema di irrigazione nella valle dello Jato e la mancata assunzione di 13 lavoratori a cui era stato promesso il posto. Un gesto, che non potrà passare inosservato, oltre un milione di persone residenti nel comprensorio, rimarranno infatti senz’acqua. A rischio anche il funzionamento dell’aereoporto Falcone Borsellino, collegato alla stessa rete idrica. Dopo cinque anni di proteste, senza alcuna risposta dalla politica, in molti non sono più disposti ad aspettare. «Non ce ne andremo di qui fin quando non otterremo risposte» fa sapere il giornalista più volte minacciato e colpito dalla mafia. Da quando la gestione della diga voluta dal “Gandhi di Sicilia”, Danilo Dolci, per consentire lo sviluppo economico della zona e sottrarre il controllo delle risorse idriche alla mafia, è passata dalla cooperativa di contadini che l’aveva ideata al consorzio di bonifica locale, l’irrigazione delle terre è carente e inadeguata,
«Tanti, troppi - spiega Pino Maniaci - gli agricoltori che hanno perso il raccolto e le famiglie che hanno dovuto rinunciare alla propria fonte di sostentamento». La rete è fatiscente, «sulle condutture realizzate in cemento-amianto - denuncia il direttore di Telejato - non è stata fatta alcuna opera di manutenzione e l’inesperienza dei nuovi gestori ha danneggiato i contadini: alcuni alberi di pesco, per esempio sono stati tagliati alla radici».
Rossella Anitori
(da Terra, 19 gennaio 2010)
Rassegna Stampa 29/dicembre 2009 I - Acqua e Protezione civile. Lo Stato si consegna ai privati
NUOVO STATO - Ma non sempre lo Stato è «retrocesso ». Anzi. In alcune occasioni si è fatto fin troppo avanti, invadendo campi che non gli sarebbero propri. È il caso della Banca del Mezzogiorno. Giulio Tremonti avrebbe voluto un’istituzione direttamente dipendente dal Tesoro. Ma la legge lo impedisce, così ha dovuto ripiegare su un comitato promotore «caldeggiato» dal dicastero. Protagonismo pubblico anche nei rapporti (tipicamente di mercato) tra banche e imprese, dove Tremonti ha «benedetto» intese, accordi, concertazioni, solitamente lasciate alle iniziative del business. Così in questi pochi mesi lo Stato ha cambiato forma e funzione: non più garante di servizi universali,ma attore in «giochi» economici. Una trasformazione in cui a perdere sono proprio le fasce deboli. Nella sua lettera d’auguri di fine anno ai dipendenti, Bertolaso parla di «una nuova società destinata a facilitare il nostro lavoro, una diversa struttura per la gestione dei grandi eventi». La Protezione Civile Spa servirebbe a questo: rendere le cose più facili. Non una parola sui rapporti istituzionali con le amministrazioni locali. Il capo dipartimento parla di «una piccola flotta» di persone, che «al timone avrà gente nostra» (vuol dire competente e addestrata dall’esperienza della Protezione Civile).
Ma francamente il senso dell’affiancamento di una «flottiglia» alla «nave madre» non si comprende affatto. Il vero senso resta nascosto: la verità è che se finora lo Stato si faceva garante delle emergenze nazionali, attraverso i canali istituzionali, d’ora in poi si creerà un centro di gare d’appalto che deciderà i lavori da effettuare e le aziende coinvolte.
Bianca Di Giovanni
(da L'Unità, 29 dicembre 2009)
lunedì 1 febbraio 2010
Rassegna Stampa 14/07/2009 II - Rifiuti radioattivi, cercasi (disperatamente) una «discarica»
Cristiana Pulcinelli
(da L’Unità, 14 luglio 200)
Rassegna Stampa 14/107/2009 I - Nucleare, Regioni in rivolta dal governo piano-militare
IL NO DELLE REGIONI
Solo così il governo può riuscire a imporre la politica del ritorno al nucleare. Il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola sostiene che oggi molti enti locali sono pronti ad accogliere centrali sul loro territorio, ma chi siano questi fantomatici volontari è un mistero che dura da un bel po’ di tempo. Si sa invece che il governatore dell’Emilia-Romagna, Vasco Errani, che ricopre anche il ruolo di presidente della Conferenza delle regioni, critica duramente il governo perché «ha imboccato una strada sbagliata e procede in modo unilaterale». Posizione analoga per Mercedes Bresso, Piemonte: «Si tratta di un errore da ogni punto di vista, strategico, economico, della sicurezza». Due no che pesano doppiamente, visto che tra le ipotesi su cui sta ragionando il governo per risolvere in un colpo solo sia il problema delle autorizzazioni che quello dello smantellamento dei vecchi impianti, c’è quella di installare i nuovi reattori proprio nei siti delle centrali che dopo il referendum dell’ 87 sono state lasciate a girare a basso regime, a cominciare da Caorso (che si trova nella prima regione) e Trino Vercellese (seconda). Ma pesanti no arrivano anche dalla Toscana («contrarissimo» si dice Claudio Martini), dal Lazio («il futuro è nelle tecnologie pulite», sostiene Piero Marrazzo), dalla Basilicata («scelta inopinosa e avventurata» è per Vito De Filippo quella del governo), dalla Puglia («dovranno venire con i carri armati», promette Nichi Vendola). Tutte voci di centrosinistra e quindi a rischio passaggio di testimone nel 2010? Il fatto è che anche dal centrodestra stanno arrivando secchi rifiuti. Bisognerà vedere se alle parole seguiranno i fatti, ma intanto il presidente della Sardegna Ugo Cappellacci sostiene che «dovrebbero passare sul mio corpo» per installare un reattore sull’isola e quello dell’Abruzzo Gianni Chiodi fa notare che la sua terra non è «idonea per le sue caratteristiche morfologiche e sismiche a ospitare un sito».
SITI MILITARI
E allora si spiega perché il governo stia preparando una exit strategy ricorrendo all’aiuto dei militari. Ora che è diventato legge il ddl Sviluppo, contenente il ritorno al nucleare, può ripartire un altro disegno di legge che non casualmente finora è stato tenuto fermo in commissione Difesa al Senato. Si tratta di un provvedimento che prevede la creazione di una società di diritto pubblico denominata Difesa Servizi Spa. Il combinato disposto delle due norme consentirebbe la creazione di centrali in siti militari, visto che ora la Difesa può utilizzarli «con la finalità di installare impianti energetici destinati al miglioramento del quadro di approvvigionamento strategico dell’energia». E per farlo il ministero, una volta approvato il secondo ddl, «può stipulare accordi con imprese a partecipazione pubblica». Proprio come la Difesa Servizi Spa. A quel punto, le centrali nucleari sarebbero fuori dal controllo di altre autorità, protette dietro il cartello «Zona militare».
Simone Collini
(da L’Unità, 14 luglio 2009)
Rassegna Stampa 04/11/2009 - «Minacce, bombe e omertà. Mercato inquinato a Milano»
Del resto, è a due passi dal Duomo che un imprenditore racconta che ci si rivolge al boss di zona come ormai forse nemmeno più succede nei vicoli di camorra: «In zona tutti si rivolgevano a lui per i più sva¬riati problemi: ad esempio a lui si chiedevano informazioni in caso di furto della macchina. Era la persona che nel momento del bisogno poteva darti un mano a risolvere i problemi». Il pm Boccassini annuncia «una linea di durezza verso gli imprenditori border line: l'im¬prenditoria sana deve capire che bisogna stare con lo Stato, non contro, e che non può ac¬cettare le violenze mafiose per propri tornaconti». Ma intanto il gip scatta solo tre tipi di foto d’azienda: «Vi è chi decide sem¬plicemente di autoesiliarsi per non incontrare la strada dei 'ca¬labresi' » e va a lavorare altrove, anche a costo di affrontare «costi maggiori del 10%. Vi è chi accetta le regole del gioco evitando fastidi e problemi. E vi è chi va anche oltre, intessendo rapporti che esorbitano l’ordinaria commessa lavorativa. Se poi qualcuno dimentica le regole, il fuoco appiccato o l’ordigno esplosivo sono un buon metodo per richiamare la memoria » . Solo quando indispensabile, s’intende. Perché il boss di turno è sempre pronto a portare la 'sua' pace. «Speriamo che qua tutta questa situazione la risolviate consiglia ad esem¬pio a chi sta litigando troppo per un debito —. Vedete come la potete passare, come la potete risolvere, sennò...ve lo giuro, sennò a me mi dispiace».
Alberto Berticelli
Luigi Ferrarella
(da CorriereCronache = http://www.corriere.it/cronache/09_novembre_04/minacce-bombe-omerta-mercato-milano_d1ee5b0c-c910-11de-a52f-00144f02aabc.shtm, 04 novembre 2009)
Rassegna Stampa 17/03/2009 - In Lombardia il ponte di comando della 'ndrangheta
Intere parti della Lombardia – come Buccinasco, dove decine di imprese edili sono in odore di mafia – sono ostaggio degli appetiti delle 'ndrine ma quel che sorprende nel documento consegnato a Grasso dal sostituto procuratore antimafia Vincenzo Macrì è scoprire l'asse sempre più stretto tra Milano e Brescia, dove le cosche procacciano affari anche grazie all'ingresso della mafia russa. La relazione della Dna mette a nudo una realtà che – in vista di Expo 2015 – va affrontata con realismo e fermezza: il baricentro delle decisioni strategiche non è più San Luca ma Milano dove la 'ndrangheta, ormai, è di terza generazione.
Se la politica cerca di riempire di contenuti il federalismo, la 'ndrangheta lo ha già fatto. Ha deciso che Milano è la nuova capitale dell'Italia criminale federata e in vista di Expo 2015 ha anche scelto di rinforzare l'asse con una città ponte verso i ricchi traffici, italiani ed europei, del Nord-Est: Brescia. Come sempre, le cosche sono avanti, più avanti di chi dovrebbe sconfiggerle. E anche gli arresti e i sequestri milionari di ieri a Milano dimostrano che la Lombardia è ormai terreno di conquista per le cosche.
A metterlo nero su bianco è Vincenzo Macrì, sostituto procuratore nazionale antimafia. «Non ci sono più tanti satelliti che ruotano intorno a un unico sole, la 'ndrangheta di San Luca - scrive nella sua relazione consegnata poco più di un mese fa al suo capo, Piero Grasso -, ma una struttura federata, disposta a dialogare con la vecchia casa-madre, ma non più a dipendere da essa, sia quanto alla nomina dei responsabili della periferia dell'Impero, sia quanto all'adozione delle nuove strategie e alla condivisione dei profitti».
Eccolo il motivo per il quale quest'anno - per la prima volta - la Dna, Direzione nazionale antimafia, ha deciso di secretare l'intera relazione. Quasi 900 pagine chiuse a chiave in pochi cassetti e accompagnate da una lettera del procuratore capo, Grasso, con divieto di divulgazione agli uffici.
Grasso, quest'anno, non poteva permettere che la relazione - a partire dalle dense e sorprendenti considerazioni sulla 'ndrangheta - uscisse fuori dai confini di chi - ogni giorno - è in prima linea a combattere la criminalità. Grasso non poteva tollerare la diffusione delle pagine dedicate alla 'ndrangheta che con il suo fatturato annuo di 44 miliardi (stime Eurispes) è ormai l'organizzazione criminale più forte al mondo. Forte dell'asse con i narcos colombiani. Una 'ndrangheta talmente pervasiva che non c'è pagina - nei contributi consegnati dalle 26 Direzioni distrettuali alla Direzione nazionale - che non trasudi di investimenti, prestanomi, traffici e corruzioni a opera di esponenti delle cosche calabresi o ad essi vicini. Una 'ndrangheta che compra tutto e, quando non può, delegittima, calunnia e isola. E uccide.
Il Sole 24 Ore ha la relazione ma, per non ostacolare le indagini, si astiene dal pubblicarne stralci e si limita a fornire il quadro d'insieme divulgando alcuni passi utili a comprendere il fenomeno, privi di qualunque dato coperto dal segreto. A pagina 117 si legge testualmente che «si è alla vigilia di una vera e propria rivoluzione copernicana... La 'ndrangheta avrà in tal modo completato il suo lungo percorso di occupazione della più ricca e produttiva regione del Paese: la Lombardia».
E non sarà un'occupazione precaria, ma definitiva, con strutture permanenti di direzione, con il territorio rigidamente suddiviso. «In pratica - secondo la relazione, anch'essa secretata ma acquisita agli atti, della Direzione distrettuale di Milano -, corpi separati ma provenienti dal medesimo ceppo e viventi nell'ambito di quella che può definirsi una coesistenza autonoma ma interattiva».
Nel giro di pochi anni - se le indagini dovessero confermare il quadro della Dna, ma appare scontato - i rapporti di forza si ribalterebbero: i centri decisionali si sposteranno sempre di più dalla Calabria alla Lombardia. Non è un caso che i boss Paolo Sergi e Antonio Piromalli siano stati recentemente arrestati a Milano, da dove - secondo gli investigatori e gli inquirenti - dirigevano i traffici internazionali di droga e curavano i collegamenti con il mondo politico e delle istituzioni.
Ma se la situazione di Milano e dell'hinterland - come ad esempio Buccinasco, che nella relazione di Macrì viene descritto come un territorio sottoposto passivamente alla conquista delle cosche fin dagli anni 70 - quel che sorprende è scoprire che Brescia e la sua provincia siano entrate ormai a pieno titolo nelle maglie della 'ndrangheta. Le cosche «condizionavano e condizionano il tessuto sociale e le iniziative d'intrapresa finanziaria», scrive Macrì. Un assalto in piena regola, agevolato dalla complicità delle mafie straniere, in primo luogo di quella russa. «In particolare - si legge nel contributo messo a disposizione della Direzione distrettuale di Brescia - i calabresi appaiono svolgere il ruolo di procacciatori d'affari per i soggetti stranieri e in tale contesto si è rivelato persino l'interessamento per l'acquisto di una raffineria».
L'allarme della Direzione nazionale antimafia non prescinde da Expo 2015, sulla quale Stato ed enti locali non trovano accordi: la 'ndrangheta si è già piazzata con omicidi (tre in pochi mesi) e spartizioni già decise o in via di definizione. Accordi che lasceranno briciole (sostanziose) anche a Cosa Nostra e Camorra, ormai costrette a venire a patti con chi è più forte di loro. «Gli interessi in gioco con Expo 2015 - si legge nella relazione - sono maggiori persino di quelli ipotizzabili dalla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina».
Di fronte a questa prospettiva, lo Stato prova ad attrezzarsi al meglio e il Comune di Milano tenta di conciliare le esigenze di chi vorrebbe istituire una Commissione municipale sul fenomeno mafioso con quelle di chi - forte anche del parere negativo del prefetto del capoluogo Gian Valerio Lombardi - ne farebbe volentieri a meno.
Commissione sì o commissione no, ciò che conta è che la politica prenda consapevolezza del fatto che Milano e la Lombardia non sono più solo le capitali morali, produttive e finanziarie del Paese, ma sono anche i capisaldi intorno ai quali la narcofinanza calabrese ha deciso di far girare tutti i traffici e le vie del riciclaggio del denaro sporco. Gli arresti di ieri - per chi avesse ancora dubbi - sono lì a ricordarlo.
Roberto Galullo
(da http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Italia/2009/03/ndrangheta-ponte-comando-lombardia_2.shtm, 17 marzo 2009)
martedì 26 gennaio 2010
Rassegna Stampa 26/01/2010 II - Allo Stato la tutela delle acque e alla Regione la competenza nel loro utilizzo
LIVORNO. Il riparto delle competenze fra Stato e Regione in materia di acque dipende dalla distinzione fra uso e tutela del bene: all'ente locale spetta quella dell'utilizzazione, allo Stato quella della tutela.Lo afferma la Corte Costituzionale che con sentenza di questo mese dichiara illegittima la legge regionale della Campania nella parte in cui fissa la durata della concessione a 50 anni e non in 30. Una dilatazione temporale che, fra l'altro urta con la necessità in sede di rinnovo della concessione della procedere di Valutazione d'impatto ambientale (Via).
La vicenda ha inizio quando il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale, della legge della Regione Campania (la n. 8 del 2008) relativa alla disciplina della ricerca e utilizzazione delle acque minerali e termali, delle risorse geotermiche e delle acque di sorgente. E in particolare nella parte in cui esclude la valutazione d'impatto ambientale o valutazione di incidenza per i rinnovi delle concessioni "in attività da almeno cinque anni dall'entrata in vigore della stessa legge regionale". Perché contraria non solo alla competenza esclusiva attribuita allo Stato dalla Costituzione (così come riformata nel 2001) in materia di tutela ambientale (art. 117 primo e secondo comma lettera s)), ma anche alle disposizioni in materia del Dlgs 152 /06.
La legge regionale impedirebbe la verifica della "permanenza della compatibilità [...] con i mutamenti delle condizioni territoriali e ambientali eventualmente sopravvenuti" anche in ipotesi di rinnovo della concessione "correlata a opere a suo tempo già sottoposte alla procedura di valutazione d'impatto ambientale". E contrasterebbe con i principi della disciplina "che sottopone a regolazione dell'Autorità concedente finalizzata a garantire il minore deflusso vitale nei corpi idrici di tutte le concessioni di derivazione di acque pubbliche".
L'ordinamento italiano, per lungo tempo, si è occupato soltanto dell'aspetto dell'uso e della fruizione delle acque minerali naturali e termali trascurando quello relativo alla tutela.
Il testo unico delle leggi sulle acque e sugli impianti elettrici si occupava di concessioni di piccole e grandi derivazioni, ma non di tutela dell'acqua. In questo contesto si inseriva la disposizione dell'art. 117 Cost., nel vecchio testo (ossia quello anteriore alla modifica costituzionale del Titolo V della parte seconda) che attribuiva la competenza in materia di Acque minerali e termali alle Regioni.
Con il Dlgs 152/06 il legislatore ha provveduto alla tutela delle acque facendo rientrare tutte le acque superficiali e sotterranee - ancorché non estratte dal sottosuolo - nel demanio dello Stato. Precisando pure che "le acque termali, minerali e per uso geotermico sono disciplinate da norme specifiche, nel rispetto del riparto delle competenze costituzionalmente determinato".
Il riparto delle competenze, è agevole dedurlo, dipende proprio dalla distinzione tra uso delle acque minerali e termali, di competenza regionale residuale, e tutela ambientale delle stesse acque, che è di competenza esclusiva statale, ai sensi del vigente art. 117, comma secondo, lettera s), della Costituzione.
Fra l'altro di tale tutela ne dà conferma lo stesso Dlgs 152/06. Perché dispone che le concessioni di acque minerali e termali ossia i provvedimenti amministrativi che riguardano la loro utilizzazione, devono osservare i limiti di tutela ambientale posti dal Piano di tutela delle acque, in modo che non sia pregiudicato il patrimonio idrico e sia assicurato l'equilibrio del bilancio idrico.
Quindi, il principio di temporaneità delle concessioni di derivazione e la fissazione del loro limite massimo ordinario di durata in trenta anni (salvo specifiche ed espresse eccezioni), senza alcuna proroga per le concessioni perpetue in atto, rappresentano livelli adeguati e non riducibili di tutela ambientale. Livelli individuati dal legislatore statale che fungono da limite alla legislazione regionale.
Rassegna Stampa 26/01/2010 I - Rifiuti e liquami, è on-line la mappa delle criticità
Nel database, che verrà completato nelle prossime settimane, è stato già inserito circa il 50% dei dati raccolti in campo. Il reticolo dei Regi Lagni è individuato dalle linee di colore blu, sullo sfondo fornito dalle mappe satellitari di Google. I tratti contrassegnati in rosso indicano le parti non controllabili poiché interrate o non accessibili. Zoomando sulle aree dove transitano gli alvei, appaiono segnaposto contrassegnati da “R” (per i rifiuti) e da “S” (per gli scarichi). Quando si clicca su un segnaposto, compare una scheda relativa alla “scoperta” fatta dalle squadre sul campo. Ogni scheda comprende una o più foto, con la data e l’ora in cui sono state scattate, la località, e una descrizione del materiale o delle condutture individuate.
(da La Rete Civica di Napoli, 7 Dicembre 2009)
lunedì 25 gennaio 2010
Rassegna Stampa 25/01/2010 II - Quanta Italia sotto l'amianto
Ci sono ancora 30 milioni di tonnellate di amianto, in giro per l’Italia e 2,5 miliardi di metri quadrati di coperture, sopra le teste di qualcuno: lo scrive il Cnr. Di mesotelioma muoiono ogni anno 3 mila persone.Una morte a piccoli sorsi, l’amianto lavora per anni, rimanda l’appuntamento, ma arriva sempre.
Marco Bucciantini
(da L’Unità, 25 gennaio 2010)
Rassegna Stampa 25/01/2010 I - Morire d'amianto sulle dolci colline dell’Oltrepò pavese
La provincia di Pavia detiene il triste record in Lombardia e in Italia per i casi di mesotelioma e il contributo decisivo a questo primato arriva proprio da Broni.Le conclusioni del 2006 di un’indagine commissionata dall’Asl al Dipartimento di Medicina preventiva dell’Università di Pavia relativa agli anni 1994-2003 hanno rilevato che l’incidenza del mesotelioma tra i residenti del comune di Broni era 25 volte superiore rispetto all’atteso a causa delle emissioni di polvere durante il periodo di attività della Fibronit. Sono stati e sono colpiti sia ex operai, sia comuni cittadini. Muoiono le mogli che lavavano le tute dei mariti intrise di polvere d’amianto. Sono morti alcuni cittadini di un’area sotto vento, dove venivano portate le polveri. È morto anche un ex postino che per anni aveva consegnato le lettere all’ingresso della Fibronit. Parlare di giustizia in queste tragedie è difficile. Ma qualcosa finalmente si è mosso, anche tra la popolazione, prima rassegnata e ora più decisa, grazie al lavoro di Legambiente e della Cgil. La Procura di Voghera ha chiuso l’inchiesta per i morti della Fibronit. Le denunce e gli esposti di anni hanno portato a un primo risultato: ci sono dieci indagati tra ex amministratori e dirigenti dell’azienda, anche se non c’è più nessuno degli ex proprietari originari, la famiglia Milanese di Casale Monferrato. I cespiti aziendali residui sono in curatela fallimentare. Le accuse sono pesanti: disastro colposo, rimozione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro e omicidio colposo plurimo. L’indagine del sostituto procuratore Maria Gravina è stata un’opera gigantesca, gli atti depositati a disposizione delle parti sono costituiti da ben 80mila pagine. Il sindaco Paroni spera «in un processo che avrebbe un grande valore morale per tutti», e vorrebbe «poter contare su tutti i finanziamenti necessari alla bonifica il cui piano doveva finire nel 2014,masiamo già un anno in ritardo». La campagna elettorale per le regionali potrebbe smuovere qualche cosa, anche se Formigoni è molto impegnato nelle inaugurazioni. La chiusura della fabbrica e l’amianto hanno avuto un brutto effetto: è diminuita la popolazione, l’economia ne ha risentito. Oggi ci sono solo cinque aziende con più di 30 addetti ciascuna. C’è un po’ di artigianato, il piccolo commercio, l’agricoltura legata al vino. Il sindaco vorrebbe attrarre qualche investimento, rilanciare il teatro, creareunpolo culturale multifunzionale... Broni meriterebbe una nuova stagione. Ma i conti col passato bisogna farli. E gli ex operai malati in giro con la bombola ad ossigeno sono la testimonianza visibile che un po’ di giustizia ci vuole, anche nell’epoca dei fanatici del processo breve. Ottavio Guarnaschelli, 60 anni, si considera fortunato: «Quelli che lavoravano con me sono quasi tutti morti, io mi faccio visitare ogni tre mesi sperando di evitare guai. Certo se penso agli anni che abbiamo lavorato avvolti dalla polvere di amianto mi chiedo se non si poteva fare qualche cosa prima per evitare tutti questi malati, questi morti».Male battaglie non finiscono mai, anche quando le fabbriche sono chiuse. Bruno Salvatore, ex dipendente Fibronit, è originario di Cosenza, vive qui dal 1952. Ha bisogno dell’ossigeno. Si lamenta: «Mi vogliono togliere l’assegno per le malattie professionali, mi hanno scritto che si sono sbagliati nel 1983 e io cosa faccio? Anni fa avevo denunciato la Fibronit, a Casale Monferrato, non è mai successo nulla». L’ultimo incontro è con la memoria storica di Broni. Guido Varesi, classe 1912, porta con eleganza il tabarro. Va tutti i giorni al circolo per incontrare gli amici e bere un calice. Ha 98 anni, si considera un sopravvissuto e parla con dolcezza, come solo i vecchi sanno fare. «Io sono una disgrazia per l’Inps: sono sopravvissuto a due guerre mondiali, ho fatto il partigiano, ho lavorato 38 anni alla Fibronit e sono ancora vivo e vegeto. Mia moglie non ce l’ha fatta, lavorava al piano di sopra nel reparto delle donne. I miei compagni non ci sono più e adesso c’è gente che si ammala ancora, chissà come sarà il futuro...».
Rinaldo Gianola
(da L’Unità, 25 gennaio 2010)
domenica 24 gennaio 2010
Rassegna Stampa - Navi di veleni: ecomafie di Stati e multinazionali del crimine
Gianni Lannes
(da Terra Nostra - http://www.italiaterranostra.it/?p=2536)
Rassegna Stampa 13/01/2010 I - Parco Saurino: percolato fuoriesce dal sito di stoccaggio
Rassegna Stampa 16/01/2010 I - Termovalorizzatore di Acerra: Impregilo contro il Governo
Il primo riguarda i crediti che Fisia ritiene ancora di vantare nei confronti del Governo. Sarebbero oltre 300 milioni, di cui 80 derivanti dalla fase in cui era ancora in vigore il vecchio contratto, 200 relativi al pagamento degli stabilimenti, ex Cdr compresi, e altri 50 dai rimborsi spese, sempre sostenuti da Fisia, nella fase post-contrattuale. Crediti che vengono di fatto congelati. Il decreto prevede infatti che la neonata Unità stralcio accerti tutti i debiti e crediti maturati nella gestione commissariale entro il 31 gennaio 2011. Fino a quella data però nessuno potrà intraprendere azioni giudiziarie verso il Commissariato. Inoltre i crediti eventualmente maturati comunque non produrranno interessi né saranno soggetti a rivalutazione monetaria.
La seconda opposizione riguarda invece specificamente la cessione dell’impianto di Acerra. Il decreto prevede che debba esserne ceduta la proprietà entro il 31 dicembre 2011. Destinatari ipotizzati dal decreto sono la Regione Campania, oppure altri enti pubblici, la Protezione civile o anche privati. Il prezzo è quello che risulterà dai parametri di uno studio dell’Enea, e l’Enea stesso lo deve stabilire entro la fine di gennaio.
(da la Repubblica Napoli, 16 gennaio 2010)
Rassegna Stampa 14/01/2010 I - La Cartofer e i rifiuti tossici
Titti Beneduce
(da Corriere del Mezzogiorno – NAPOLI del 14 gennaio 2010 in Rassegna Stampa del Coordinamento Regionale Rifiuti della Campania).